Si chiamava Giovanni Passannante
Giovanni Passannante
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, aveva una decina di fratelli e come tanta gente del suo paese viveva ai limiti della fame e della miseria più nera. Tutto avveniva nell'isolato e triste Comune di Salvia di Lucania, dove civiltà e progresso non si vedevano.
Erano i primi anni del Regno d'Italia, un tempo in cui si decantavano i valori del 'Risorgimento', ma l'indigenza e il bisogno restavano, soprattutto nelle periferie più abbandonate del Sud. Contemporaneamente, la borghesia degli affaristi e dei politicanti di parte sabauda si arricchiva tra appalti truccati e facili concessioni governative.
Il malcontento dei più indigenti portava qualcuno nelle file dell'estremismo rivoluzionario.
Giovanni Passannante diventò anarchico.
Nel 1878, seppe di una visita a Napoli del Re Umberto I. Il contadino-cuoco di Salvia, andò nell'ex capitale del Regno delle Due Sicilie, vendette la giacca e con il ricavato comprò un pugnale. Si preparò così ad uccidere il sovrano.
Il piano era ben congegnato perché l'eventuale morte di Umberto avrebbe determinato una crisi istituzionale: Vittorio Emanuele, unico figlio di Umberto e Margherita, aveva solo 9 anni e l'Italia si sarebbe trovata in una Monarchia senza Re.
Così a Napoli, nascosto tra la folla l'attentatore attese il passaggio del sovrano e quando finalmente lo vide vicino balzò sulla carrozza reale e vibrò il colpo che avrebbe dovuto cambiare i destini d'Italia. Riuscì soltanto a ferire il Primo Ministro Benedetto Cairoli, che sedeva vicino ad Umberto e che in qualche modo fece da scudo, salvando la vita del monarca.
Passannante fu arrestato e condannato ad una lunga e penosa detenzione.
Mentre alla Prefettura di Napoli si faceva festa in onore di Umberto I per lo scampato pericolo, il Sindaco di Salvia fu convocato nello stesso luogo, ma per essere interrogato.
Il poveretto - anch'esso di semplice condizione - dovette prendere in fitto un vestito nuovo, per ben figurare davanti al Prefetto. Fu messo sotto torchio, durante un penoso interrogatorio in cui gli inquisitori insinuavano che tutti gli abitanti di Salvia erano probabilmente anarchici e repubblicani. Il Sindaco si difese in qualche modo e, tornato al suo Municipio, compì un atto solenne di fedeltà alla Corona facendo votare una nuova denominazione del paese, che ancora oggi - senza senso - si chiama Savoia di Lucania.
Passannante intanto sperimentava la 'clemenza' del sovrano che aveva commutato la condanna a morte in ergastolo a vita. Ma non per questo gli andò meglio. Il detenuto ebbe il suo alloggiamento in una cella sotto il livello del mare con catene ai piedi, prima, e con il trasferimento ad un manicomio criminale, poi, sebbene non avesse mai dato segni di squilibrio, se non forse per il fatto che non si dichiarò mai pentito del suo gesto.
Gaetano Bresci
L'uomo che uccise il Re
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Il Museo degli Orrori
Quando Passannante morì, nel 1910, il suo corpo fu decapitato e la testa, ridotta ad un teschio, fu esaminata da studiosi di antropologia criminale che in qualche modo si rifacevano alla lezione di Cesare Lombroso. Questi rinvennero nella struttura facciale del defunto i tratti dell'inferiorità intellettuale e morale del contadino meridionale, ma non quelli della miseria del Sud.
Non si domandarono come e perché Umberto I fosse stato ucciso nel frattempo (fu sparato a Monza nell'anno 1900) da un altro anarchico, Gaetano Bresci, che invece non era meridionale ma toscano.
Dal 1910 comunque il cranio di Passannante, separato dal corpo (che non si sa che fine abbia fatto) e immesso in un liquido conservante, fu esposto nel Museo Criminologico di Roma, dove si offrì al pubblico ludibrio fino al 2007, in attesa dell'eterno riposo.
L'eterno riposo
Per tanto tempo continuò la condanna di Passannante. "Il teschio che non ritorna" diventò il mantra di chi chiedeva la restituzione del cranio al paese di nascita dell'anarchico. Non furono tanti quelli che si impegnarono per questo scopo ma la presa di posizione di alcuni deputati e alcuni intellettuali famosi chiuse il ciclo di tanta infamia. Il cranio fu traslato a Savoia di Lucania e sepolto.
Ma non era ancora finita per l'uomo che voleva uccidere il re
e che per questo 'aveva perso la testa'
A quanto pare, qualcuno profanò poi la tomba di Passannante distruggendo la lapide,
forse per prolungare quello che era già stato un interminabile supplizio
A tanti anni dalla fine della monarchia e proprio nel paese dell'anarchico libertario
c'era ancora qualcuno che era più realista del re
Altri anarchici / Altri attentati
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Con il suo pur fallito attentato Giovanni Passannante aveva fatto da apripista inaugurando la stagione delle avventurose azioni di anarchici (tutti italiani) per uccidere sovrani e capi di stato qua e là in Europa.
Verso la fine dell'Ottocento ci furono infatti clamorose imprese compiute da rivoluzionari che agirono in proprio, senza il supporto di altri, come lupi solitari pur richiamandosi ai principi di libertà e giustizia che erano propri dell'anarchismo e del socialismo più oltranzista. Gli anarchici aggiungevano l'elemento ideologico della morte del tiranno.
In Italia
Nel 1897 il regicidio fu tentato da Pietro Acciarito, un fabbro della provincia romana che si lanciò contro la carrozza di Umberto I che però riuscì a schivare il colpo di coltello dell'anarchico. Acciarito fu arrestato e condannato all'ergastolo con l'immancabile esito del carcere duro e del manicomio criminale. Quando morì, molti anni dopo, una perizia medica lo qualificò geneticamente portato al delitto.
Nel luglio del 1900 però la fortuna di Re Umberto si capovolse, anche perché l'anarchico Gaetano Bresci usò la pistola e non il coltello al termine di una manifestazione sportiva a Monza presenziata appunto da Umberto e da Margherita. Con tre colpi di rivoltella il secondo Re d'Italia fu ucciso. Bresci era tornato dall'America con il preciso intento di eliminare il monarca che aveva avallato la strage di persone che manifestavano per il rincaro del prezzo del pane. Il massacro era stato compiuto a Milano nel 1898 dal Generale Bava Beccaris che per questa impresa aveva ricevuto un'onorificenza dal Re. Dopo il regicidio Bresci fu arrestato e condannato all'ergastolo a vita. Meno di un anno dopo il detenuto fu trovato morto nella cella della prigione in cui si trovava. Ufficialmente 'si era suicidato'; praticamente era stato torturato e ammazzato dai carcerieri.
Nel resto d'Europa
Nel 1894 a Lione l'anarchico lombardo Sante Caserio, con il solito metodo dell'attesa della carrozza e del pugnale, uccise il Presidente della Repubblica Francese Sadi Carnot. In questo modo Caserio ritenne di vendicare anarchici mandati al patibolo dal presidente nonché l'eccidio di immigrati italiani compiuto da nazionalisti francesi senza che Carnot facesse poi giustizia. Caserio fu condannato a morte. Rifiutò di compiere un atto di pentimento che avrebbe potuto salvargli la vita. Fu ghigliottinato.
Nel 1898 a Ginevra Luigi Lucheni, un anarchico originario del parmense compì il delitto del secolo uccidendo per strada con un colpo di pugnale al cuore l'Imperatrice Elisabetta d'Austria meglio nota come Imperatrice Sissi, moglie di Francesco Giuseppe. La vittima non era un simbolo dello strapotere monarchico, che anzi contestava con una vita eccentrica e anche un po' solitaria, ma rappresentava - per bellezza ed eleganza - il massimo di una aristocratica femminilità. Fu uccisa forse perché figura simbolo della nobiltà. Dopo il delitto Lucheni finì all'ergastolo riunendo - con la morte (avvenuta nel 1910) e dopo la morte - il destino di Bresci e quello di Passannante. Morto 'suicida in carcere' (come Bresci) Lucheni fu decapitato (come Passannante) e il suo cranio esposto al pubblico, stranamente, nella civilissima Svizzera.
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